Lo stivale e le leggi del vino
L’Italia come ben sappiamo offre un’infinita varietà di vitigni autoctoni, molti di uve da vino che sono varietà appartenenti ad un luogo, con più di 500 tipologie e cloni presenti nel registro nazionale e registrate ai consorzi delle varie regioni.
Da nord a Sud opere d’arte enologiche che si adattano solo a particolari terreni e condizioni climatiche: ecco il vero punto di forza del Bel Paese, perché spesso oggi il consumatore ricerca vitigni sconosciuti, che esprimo il territorio e che sono tipici della produzione italiana.
Diversità territoriale e varietà di denominazioni, molte di queste ancora nascoste e pronte ad emergere: cosi troviamo le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche che ben stabiliscono, regolamentano e classificano il vino in Italia. Una vera e propria carta di identità dove possiamo vedere la provenienza, zona di produzione con le condizioni ambientali, rese per ettaro gradazioni alcoliche e molti altri dettagli che con un criterio legislativo disciplina le varie categorie.
Questa legislazione, affiancata ad una varietà ricca di gioielli nascosti e sconosciuti (gli autoctoni), fanno sì che spesso si creino zone e denominazioni meno conosciute, con vitigni altrettanto ignoti ma che danno origine a vini speciali, andando così un po’ oltre ai Grandi Nomi dell’enologia italiana.
Zone del Vino da scoprire
Isola dei Nuraghi IGT, più che una zona è una denominazione abbastanza generica della Sardegna che comprende l’intero territorio amministrativo delle province di Cagliari, Nuoro, Oristano e Sassari; la Sardegna come già approfondito nell’itinerario enologico e culinario che descrive l’isola e le sue tradizioni, è una terra molto ricca di vitigni autoctoni in piena rinascita e riscoperta, perciò come spesso accade in questi casi, troviamo in questa denominazione vitigni ammessi e riscoperti come il Muristiellu oppure il recente Arvisonadu che meritano un posto speciale.
Quest’ultimo raro vitigno delimita la sua produzione in 20 massimo 25 ettari di terra sarda, nella regione del Goceno, una “chicca enologica” che non ha corrispondenze genetiche passate.
Un bianco che si riconosce per struttura, sapidità e corposità, nonché si presta ad eventuali macerazioni sulle bucce che gli danno una trama leggermente tannica; facili gli abbinamenti locali come l’agnello con i carciofi pasquale, oppure le mungetas, lumache monachelle arrostite e cucinate con olio, aglio, pane grattato e prezzemolo.
Doc Tazzelenghe Friuli Colli Orientali, Tazzelenghe è l’autoctono a bacca rossa friulano, originario della zona in provincia di Udine, Cividale e Buttrio; vitigno riscoperto da poco, presenta elevata tannicità e in dialetto infatti significa “taglialingua”. Fa un invecchiamento in botte (spesso rovere), un vitigno dalla forte personalità di cui o ci si innamora o lo si abbandona, strutturato, balsamico e persistente. La zona, e la denominazione sono i colli orientali friulani, in questo caso parliamo proprio di Buttrio, le cui origini di quest’area risale ai Romani.
Spesso viene abbinato al frico e polenta, piatto povero con formaggio cotto in padella cipolle e patate, per sostenere la corposità e rusticità del piatto.
Ritornando a sud della penisola, nella bella Sicilia non solo Etna Doc, Eloro Doc e Cerasuolo di Vittoria DOCG, ma una Alcamo Doc ai piedi del monte Bonifato, una zona che si affaccia sul golfo di Castellammare, ricca di bianchi, rossi e rosati eccellenti.
Il vino pregiato di questa zona ha origini molto antiche risalenti al 1500 e comprende numerose tipologie: dai bianchi spumanti alle vendemmie tardive, dai novello ai riserva, con uve ammesse come Cataratto, Grecanico, Grillo Nero d’Avola, Frappato e altri rossi internazionali. I bianchi sono spesso Cataratto, ma anche Damaschino e Grecanico, sapidi intensi e floreali, i rossi a seconda del vitigno hanno più o meno corposità e succosità.
Al bianco di questa zona abbinerei la pasta con finocchi e sarde…ho già l’acquolina…
Regno del Primitivo, Nero di Troia e non solo, la Puglia, ha un patrimonio inestimabile di vitigni con un territorio che racconta di fatiche e sforzi per rendere produttiva questa arida terra.
Paesaggio brullo, ma naturalmente ricco, nella Murgia Carsica troviamo la DOC Gioia del colle, rosso Negroamaro, Primitivo e Malvasia nera alcune delle uve ammesse, oppure Gravina DOC, Malvasia, Greco di Tufo, bianco d’Alessano, Bombino bianco, Verdeca, o ancora Rosso di Canosa DOC, Nero di Troia e Sangiovese o Montepulciano (eventualmente ammessi).
Prima di dedicare l’ultima parte ad una breve descrizione di una regione un po’ dimenticata, cito ancora una DOC abbastanza ignota, o meglio nascosta dai grandi Verdicchio, Conero e Serrapetrona: tra le DOC marchigiane con utilizzo di vitigni meno conosciuti c’è la Pergola DOC, che si ottiene da uve Aleatico, una sorta di Aleatico marchigiano che presenta un rosso rubino e cenni porpora, note varietali speziate e di ribes nero, nonché fiori di violetta, con ottima sapidità e persistenza.
Questa Denominazione è la più giovane Doc della provincia di Pesaro-Urbino, il cui nome deriva dall’antica omonima cittadina nota per la sua cinta muraria fondata dagli Eugubini che indussero la coltivazione di questo vitigno.
Una zona speciale, piccola e limitata a pochi comuni, dove questo vitigno concorre con le sue uve al 70% dell’uvaggio.
Enotria di terra ionica
La regione di cui poco forse avevamo parlato in queste ultime puntate, e su cui non ci siamo molto soffermati, è una regione dove il popolo italico si stabiliva, perché ben predisposta a colture, specie di olivi e vitis vinifera di ogni genere.
In questa terra ovviamente non potevano mancare vitigni autoctoni, il cui nome in antichità era proprio Enotria dei Greci, Terra del vino letteralmente: la Calabria.
Con due tipologie di viticoltura una più interna e di montagna ed una più marittima e sapida, questa regione offre varietà di vitigni e denominazioni poco conosciute, una terra senza DOCG, ma con alcune chicche degne di essere citate oltre al grande rosso e corposo Cirò DOC.
Così abbiamo la Bivogni DOC, nella provincia di Reggio Calabria, una piccola area a ridosso del mare che regala sia bianchi che rossi: dal Gaglioppo, re indiscusso della Calabria, al Greco Nero, Nocera, Calabrese e Castiglione, oppure bianchi come Greco Bianco, Guardavalle Montonico.
Tutti vini che esprimono la costa ionica al meglio, con elementi come sapidità, corpo e frutta matura.
Opposta a quest’ultima, Savuto DOC, poco sopra Lamezia Terme, dove sorge l’altopiano della Sila. Questa DOC comprende una ventina di comuni, le varietà anche qui utilizzate sono Gaglioppo, Greco nero e Malviasia Nera principalmente, per quanto riguarda i rossi, mentre i bianchi sono sempre Montonico, Malvasia e Greco bianco.
Si differenzia dalla precedente per le grandi escursioni termiche che si creano nell’autopiano (in alcune zone si raggiungono i 600 m s.l.m) che regalano croccanti acidità e freschezza.
Questi vini, e denominazioni, pur affacciandosi sulla costa, vengono spesso abbinati a piatti corposi della tradizione locale, come il ragù calabrese, che prevede un tradizionale ammorbidimento del pane nel latte da aggiungere a carni varie, alloro, sugo rosso e una lenta cottura; passando invece allo street food calabrese abbiniamo un vino con maggiore percentuale di malvasia nera aromatica e morbida al morzello, il gustoso panino ripieno di sugo piccante, trippe e frattaglie, dove l’aromaticità ammorbidisce la piccantezza e bilancia i sapori al meglio.
Insomma molte opere d’arte nella penisola, non solo pittoriche o scultoree, ma anche enologiche e culinarie che non si conoscono o che, sovrastate dai grandi nomi, si perdono nelle regioni dove si viaggia meno.
Grazie al lavoro di veri artigiani del territorio e del vino, ritroviamo tradizioni antiche nelle piccole denominazioni, confermando e sottolineando un livello di eccellenza in continua evoluzione e crescita sia in termini qualitativi che quantitativi.
Barbara Costantino
Formatore Sommelier