La passione per il vino e la viticultura porta ogni anno molte persone ad intraprendere studi e carriere nel settore vitivinicolo… pochi sanno che alcuni anni fa siamo stati sull’orlo del collasso di questo sistema.
Come siamo arrivati quindi fino ad oggi? Grazie al portainnesto o portinnesto.
Il portainnesto è il risultato al problema della fillossera che tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 ha afflitto la viticoltura europea. Tecnicamente il porta innesto è ‘il piede’, la parte radicale della vite americana e si rivela l’unica soluzione al contrasto al parassita della fillossera.
Inizialmente, per contrastare questo insidioso insetto, si adottava la tecnica dell’allagamento della vigna o si procedeva con iniezioni di solfuro di carbonio nel terreno (solforazione).
Ma queste due tecniche di intervento non hanno dato risultati e, dopo accesi dibattiti, si decise di seguire anche in Italia la strada già adottata in Francia: la ricostruzione delle vigne con il metodo del portainnesto che si rivelò l’unica soluzione definitiva al problema della fillossera e l’agente che determina di fatto la nascita della viticoltura moderna.
La nascita del Portainnesto
La fillossera è un piccolo insetto che distrugge l’apparato radicale della pianta portandola alla morte nel giro tre, quattro anni. Il problema principale della sua propagazione nell’800 è stato determinato dal fatto che l’animaletto dava effetti “collaterali” diversi in base alla cultivar e alle condizioni pedoclimatiche. In alcuni casi, infatti, si manifestava tempestivamente con delle “galle” escrescenze sulle foglie, in altri casi era silente fino a che la pianta non iniziava a morire e non era più recuperabile.
Gli studi del tempo non diedero soluzioni ma emersero alcune intuizioni, come il fatto che la fillossera non si adattava a terreni sabbiosi e che le viti americane erano praticamente immuni all’insetto.
Queste intuizioni diventano gli elementi fondanti della tecnica del portainnesto. Siamo nel 1930 e si comincia ad innestare la vitis vinifera (vite europea) sull’apparato radicale di quella americana dando origine a piante bimembre. Il matrimonio risulta da subito perfetto perchè la vite americana è resistente nella parte radicale ma aggredibile in quella fogliaria, mentre per la vite europea è l’esatto contrario.
Negli anni la tecnica è stata perfezionata, infatti non tutti i porta innesto erano adatti e dopo prove e ricerche si selezionarono tre varietà, vitis riparia, vitis berlandieri e vitis rupestris.
A loro volta queste varietà furono ibridate tra loro, dando vita a cloni ancora più stabili ma soprattutto adattabili a qualsiasi condizione pedoclimatica. Le diverse situazioni hanno determinato lo sviluppo di portainnesti sempre più performanti e adatti alle esigenze del produttore, in base al terreno e al clima. Oltre agli evidenti vantaggi, bisogna considerare che il portainnesto ha anche degli svantaggi come il fatto che fisiologicamente l’innesto tra le due varietà accorcia la vita della pianta circa di un terzo.
I requisiti principali del Portainnesto
Ovviamente la caratteristica principale del portainnesto è la resistenza alla fillossera, ma anche ai nematodi, micro organismi che danneggiano l’apparato radicale.
I tre requisiti che determinano il buon esito di un portainnesto sono: l’adattabilità a diversi terreni, l’affinità di innesto e la vigoria.
Ogni portainnesto ha una adattabilità a terreni diversi. In generale affinché un portainnesto sia efficace è necessario che il terreno non sia troppo calcareo, né troppo umido o siccitoso. Ma questa è solo una regola generale. Alcuni specifiche tipologie di portainnesto, infatti, sono adattabili a terreni ad alta concentrazione di calcare (da non confondere con il calcio) che tende a “soffocare” le radici della pianta. Allo stesso tempo, altri tipi di portainnesto sono di contrasto a condizioni avverse come l’eccesso d’acqua o condizioni di siccità.
L’affinità d’innesto è in sostanza la compatibilità con il tipo di varietà, cultivar, che si andrà ad innestare.
Infine la vigoria: il portainnesto vigoroso darà maggiore ciclo vegetativo e una produzione più abbondante, al contrario un portainnesto più debole o scarso determinerà più concentrazione di sostanze nell’acino, quindi più qualità, a fronte di una minore produzione vegetativa.
Naturalmente nel caso di scarsa vigoria sarà necessario adottare una maggiore densità d’impianto.
Portainnesti: ibridi principali
- V.ripara – V. ruprestri: dal moderato vigore;
- V. Berlandieri – V. ripara: uno dei più usati, maggior affinità di innesto, elevata vigoria, resistenza a calcare e alla siccità;
- V. berlandieri – V. ruprestis: quando riescono a trovare il giusto ambiente per la difficolta nel radicare, hanno una grande vigoria, alta resistenza al calcare e alla siccità;
- Solonis – V riparia e Solonis – Othello: questi porta innesto sono particolarmente resistenti alla salinità.
I gruppi appena riportati a loro volta danno vita ad altri cloni che nel tempo sono stati sviluppati per affinare le caratteristiche necessarie a diverse qualità di terreno o di condizione climatica.
Sono stati portati avanti anche esperimenti di ibridazione diretta tra vitis vinifera e vite americana, cioè si è tentato di realizzare una pianta produttrice da questo incrocio, ma il risultato non ha dato esiti positivi.
Riportiamo gli esempi:
Riparia – Rupestris |
Berlandieri x Riparia |
Berlandieri – Rupestris |
Vinifera x Berlandieri |
Il portainnesto è diventato un vero e proprio strumento per l’allevamento della vite, un alleato prezioso per il viticoltore e l’enologo. La moltiplicazione delle tipologie dei portainnesti ha da una parte risolto i problemi di parassiti dall’altra ha stravolto radicalmente il mondo della viticoltura.
Come sarebbe il nostro vino preferito se l’uva provenisse da una pianta non innesta. Sarebbe uguale? Probabilmente non lo sapremo mai.
Certo è che grazie a queste pratiche si è salvata sicuramente la viticultura e il mondo del vino come lo conosciamo oggi.