Da vecchio a nuovo continente
Difficile, per noi del Vecchio Continente, pensare a una cultura del vino e del cibo diversa e nuova rispetto a quella che ci è stata indottrinata per anni, legata a tradizioni e cultura antica, a partire dalla Grecia e Roma antica, culla della nostra civiltà. Eppure esiste — ed è in continua evoluzione — una cultura, un uso di tecnologie estremamente avanzate e un consumo sempre più consapevole del cibo e del vino di qualità americano. Ancora più difficile è oggi, in un momento storico delicato legato alle esportazioni e importazioni proprio con gli Stati Uniti, che vogliono puntare tutto sulle proprie forze e dare inizio a una nuova “era dell’oro” americana, imponendo tasse reciproche con l’Europa, con lo scopo di riportare tra i confini nazionali il lavoro delle imprese USA, volendo così renderla più ricca. A pagare il conto sarà l’agroalimentare europeo, soprattutto il “made in Italy”.
Ma torniamo indietro nel tempo e cerchiamo di capire cosa è successo in passato: la Vitis vinifera e il vino sono approdati negli Stati Uniti con i conquistatori europei intorno al XVI secolo, i quali certamente provarono a sfruttare i vitigni autoctoni americani, con però scarsi risultati, non soddisfacendo il palato europeo, abituato a certi aromi e sapori. Da qui nacque la necessità — o volontà, che dir si voglia — di tentare sperimentazioni con impianti di vite europea che, come primo luogo interessante per via del clima e del territorio, furono introdotti in Virginia. Anche questo tentativo, però, non ebbe buoni risultati a causa della presenza di malattie fungine e parassiti, per le quali la vite europea non aveva difese. Il modo di ovviare a questo problema fu proprio quello di incrociare le specie autoctone con quelle europee, creando così una vite “nuova” e più forte, capace poi di produrre grandi vini — come vedremo dalle zone che citeremo successivamente e che abbiamo già in parte raccontato nei viaggi del vino precedenti a questo.
Fu così che, durante la metà del 1700, questo esperimento diventò realtà, e si avviò la produzione del vino d’America proprio in California, grazie all’unione delle forze dei due mondi, delle menti e delle tipologie di vite in grado di resistere a climi diversi da quelli europei e ai parassiti che, nell’800, in Europa furono letali. La California, dopo gli anni ’70, riprende la produzione vinicola, proprio dopo l’era del Proibizionismo nella prima metà del 1900, e conquista le classifiche del mercato del vino per volumi e qualità eccellente del prodotto.
Non solo California, vini e bevande oltre il mare
Gli States producono vini dai risultati straordinari, sia in qualità che in quantità: solo la California produce quasi il 90% del vino americano, mentre il restante — anche se in volumi minori — si concentra nello stato di Washington, New York, Oregon (di elevatissima qualità) e anche una piccola percentuale in Texas. In merito alle varietà, parliamo maggiormente di varietà europee cosiddette internazionali come Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Noir e Zinfandel tra le più rinomate bacche rosse, e Chardonnay, Riesling, Sauvignon Blanc tra le bacche bianche; mentre una parte della produzione, ad uso principalmente locale, proviene dalla Vitis labrusca, cosiddetta autoctona americana, che però rimane molto poco apprezzata dal popolo americano, con sentori caratteristici molto muschiati e selvatici, chiamati internamente “foxy”.
Lo Zinfandel americano, bacca rossa molto diffusa, è considerato autoctono dal popolo d’oltreoceano, ma ha delle caratteristiche di parentela genetica con il nostro primitivo pugliese: anche qui un legame indiscutibile tra Nuovo Mondo e Vecchio Mondo, che nel calice si distingue più per lo stile finale, per i metodi e i materiali di vinificazione ed affinamento del vino. Una California di estati calde e poco piovose, ed inverni freddi nell’interno, tra Napa e Sonoma — le due zone di eccellenza americane, altamente conosciute e citate negli itinerari precedenti — dove abbiamo vini rossi corposi come i Cabernet strutturati, focalizzati su un frutto deciso e maturo, ed affinamenti dalle tostature più da botti americane, dolci di vaniglia e cocco, ai bianchi Chardonnay, anch’essi più burrosi e morbidi, di corpo e struttura importante; infine Zinfandel di Mendocino, anche lui carico di un frutto molto maturo se vinificato come rosso, oppure più fruttato e quasi “dolce” in versione rosé.
Scendendo più verso la costa di Santa Barbara, le brezze rinfrescanti del Pacifico fanno sì che i Pinot Noir facciano da padrone nella zona, con lunghe maturazioni anche qui, grazie alle lunghe ore di luce, regalando Pinot Noir dal frutto maturo sì, ma anche dalle tostature tipicamente morbide e dolci americane. Spostandoci in Oregon, dove il clima è decisamente più rigido, ed una vicinanza relativa alla costa regala una buona umidità, con un suolo generoso di origine vulcanica che spicca per rilasciare ai vini una nota “smoky” che solo qui si può avere: eleganza, maturazione delle uve, freschezza, e tostature più simili allo stile europeo, ovvero più secche e decise di cannella, tabacco e cenere. Nello stato di Washington, i terreni sabbiosi — ed in parte anche qui vulcanici — regalano profumi ampi e unici nei calici, ma tra le varietà di spicco ci sono Merlot e Cabernet, anche in versione bordolese, oppure Chardonnay e Sauvignon Blanc.
Lo stato di New York è ancora in ascesa, ma ad oggi è il terzo produttore di vino nel Paese. La produzione si basa su varietà locali e ibride come il Baco noir, il Delaware oppure il Concord tra le bacche rosse, mentre tra le bianche il Niagara o il Seyval blanc: vini più da dessert oppure da abbinare a formaggi locali, o ancora rossi e bianchi frizzanti. Ma anche su varietà internazionali come Riesling e Chardonnay, produzioni che portano a questo stato il primato di moltissime varietà in più rispetto al resto degli States, anche se questo determina a sua volta un ibrido della produzione, non definendo bene uno stile preciso, come invece ha fatto fin dall’inizio la California, vincendo sfide con i migliori player europei e piazzandosi sui mercati a un livello molto alto e costoso al tempo stesso. Infine, il Texas — anch’esso in ascesa sul mercato — con varietà principalmente internazionali tra rossi e bianchi, vince il primato in mineralità e freschezza nei vini, regalando note più sapide ma comunque con frutti molto ampi e decisi, grazie a terreni diversi composti da minerali, sabbia e granito, ed un clima caldo dalle temperature elevate, spesso da anticipare le vendemmie in maniera marcata.
Ma fino a qui, più o meno possiamo dire di esserci detti già molte cose tra i vari itinerari del vino, ma mancano all’appello altre bevande, che a mio avviso sono da citare, perché toccano zone che forse ancora sono da scoprire, per essere abbinate davvero ai cibi locali: è il caso di spendere due parole per il Kentucky ed il viaggio sensoriale tra bourbon e sapori del Sud. Lo spirito di questa zona un po’ rurale è la capitale mondiale del bourbon, dove si possono scoprire tutte le varietà di questo distillato molto più morbido e — permettetemi il termine — più dolce del nostro Scotch whiskey, dove attraverso il Bourbon Kentucky Trail si scoprono i sapori abbinati al cibo locale come le Bourbon balls oppure il pollo fritto, spesso accompagnato da un ottimo assaggio di questo distillato locale, esportato (si spera ancora) in tutto il mondo. Nel Missouri, invece, l’esperienza di viaggio prevede la birra abbinata al barbecue tipico americano, ma di quest’ultimo voglio raccontare l’esperienza che merita, nel prossimo capoverso che parlerà di gusto americano e sapori autentici tra salse e costolette.
Qui la birra fa da padrona: è qui che nasce la Budweiser, prodotta da Anheuser-Busch a Saint Louis, una lager chiara, leggera e rinfrescante. La birra negli Stati Uniti ebbe il suo massimo picco durante il pre-Proibizionismo, quando l’industria contava 1700 birrifici. Ci fu poi un calo totale durante il Proibizionismo, una sorta di periodo buio che portò alla scomparsa di molti birrifici, che in epoca “post” ritrovarono un mercato fertile su cui lavorare, e che ha portato ad oggi a un buon consumo, alla nascita di svariati stili come l’American Ipa, molto luppolata, agrumata, floreale e un po’ speziata (perfetta per i BBQ corposi e più dolci di salsa barbecue), fino a giungere alla nascita anche qui di stili locali e produzioni artigianali di nicchia.
Le strade del gusto Americano
Anche se sembra difficile crederci, l’evoluzione dell’offerta culinaria negli Stati Uniti ha fatto passi da gigante, soprattutto grazie ai movimenti locali di presa di coscienza del consumo di cibi sani, dell’origine dei prodotti, e dell’autenticità della produzione, che mai più come ora, si vuole puntare proprio al concetto di “Eat Local” promuovendo e spingendo molto la cultura culinaria locale.
Prodotti che non ti aspetti, dai bbq di carni e costolette affumicate e saporite tipiche del Missouri di Kansas City, arricchite da una varietà di salse dal gusto unico e abbinabili alle birre artigianali locali, ai formaggi del Vermont, molto famosi e saporiti. Il cheese trail prevede assaggi di vario genere, con più di 100 varietà di formaggi prodotti ancora con tecniche tradizionali con latte di mucca, pecora, capra e bufala: da cheddar, alpine, e blues, sapori unici anche grazie all’uso di erbe locali di cui gli animali si cibano. Questi formaggi sono tipicamente abbinabili a varietà locali di uve citate prima coltivate nello stato di NY, più freschi, dolci o frizzanti, oppure facilmente abbinabili a Riesling della Napa o ancora, perché no, a un “oaky” Chardonnay della Sonoma.
In South Carolina abbiamo il Riso Carolina Gold, ovvero un riso a grano lungo che fu anche la base dell’economia coloniale antibellica della Carolina del Sud. Qui spesso viene cucinato semplice come accompagnamento dei piatti corposi, oppure Rice and Gravy, ovvero riso con salsa, o ancora in formato pudding (budino di riso), da assaggiare durante il Giorno del Ringraziamento.
Piatti tipici regionali per citarne altri: il New England è fortemente caratterizzato dalla cucina atlantica e quindi legata ai frutti di mare e alla Lobster (Hamarus Americanus), che noi chiamiamo astice, invitanti e dalle texture cremose, da gustare con capesante oceaniche, vongole, ostriche e crostacei, incredibilmente perfette con lo Chardonnay californiano burroso e cremoso, che accompagna perfettamente la morbidezza e dolcezza del crostaceo. Obbligo inoltre da queste parti l’assaggio del Clam Chowder, una zuppa di crema di latte, patate e vongole, o ancora del Lobster Roll, il morbido panino con l’astice.
Nel versante pacifico, troviamo salmone, trote, e granceole, con il gustoso Dungeness Crab, bollito o fatto al vapore e condito da varie salse. In questa zona del sud, l’influenza africana nei piatti e nei condimenti è marcata, nonché quella indiana con l’uso di spezie variegate. Sempre a sud, tra i piatti da degustare con un calice di bianco corposo, ci sono gli Shrimps & Grits, piatto a base di gamberi e semolino. Infine, tra le salse, il mitico barbecue, dolce ma piccante, che qui utilizzano praticamente su tutti i piatti: dalle costolette al maiale sfilacciato.
Le zone di Texas, New Mexico ed Arizona non rinunciano di certo al lato piccante dei loro piatti, con le Chips con salsa piccante o Taco, il succulento Chili o le Quesadillas, di origine messicana, realizzate friggendo o grigliando una tortilla di mais farcita di formaggio, pollo, oppure manzo o frutti di mare, nonché verdure a scelta. Il tutto innaffiato da una freschissima birra, oppure da un calice di Riesling (se si predilige il bianco) o un calice di Merlot fruttato e meno tostato per ammorbidirne e bilanciarne la parte piccante del piatto. A Philadelphia è d’obbligo il Sandwich Cheesesteak, a base di carne di manzo rosolata e tritata, e formaggio; in Louisiana il panino è il Po-Boy, tradizionale a base di roast-beef oppure pesce fritto.
Mentre a San Francisco non si può non assaggiare lo stufato di pesce e salsa di pomodoro, specialità locale con il pescato tipico del giorno — spesso granchi, vongole o gamberi — chiamato Cioppino, innaffiato da un calice della vicina Sonoma dal colore oro.
Infine, in Florida, la torta originaria delle isole Keys, dove troviamo innumerevoli piante di lime: si cucina la Key Lime Pie, una torta dolce, con una base di biscotti passati nel burro, base della torta e anche sbriciolati, mischiati con succo di lime, latte condensato e tuorli d’uovo. Un pieno e corposo fine pasto degno di un finale americano: semplice, forse, ma sicuramente che riempie sul finale di gusto, corpo e sapore.
Un connubio di sapori molto intensi, ma anche molto conditi, con influenze di culture asiatiche e africane che hanno contribuito alla ricchezza dei sapori. Un Nuovo Mondo: così lo chiamiamo noi del Vecchio Continente, così abituati ai forse “rigidi” e netti sapori europei, molto ben definiti e decisi. Una morbidezza, ricchezza di sapori e “pomposità” che definisce un territorio, uno stile di vita, nonché uno stile enologico e culinario di tutto rispetto da scoprire una volta approdati nel Nuovo Mondo.
Al prossimo viaggio, di cibi e vini di mondi lontani
Cheers!
Barbara Costantino
Formatore Sommelier