Terra prediletta e generosa del nord
Sempre riprendendo le fila di un discorso storico, l’Italia viene definita da Sofocle “terra prediletta dal dio Bacco” dove la vite qui nel Bel Paese cresceva spontaneamente e spesso non importata da altri popoli, tenuta cosi da popolazioni autoctone anche incolta, allo stato selvatico.
I Romani appresero da Etruschi, Greci e Cartaginesi i segreti di vinificazione e coltivazione della vite cresciuta qui naturalmente.
Man mano che i Romani conquistavano da nord a sud della penisola le varie province, diffusero anche la vite, in particolare nella Gallia, dove il vino era richiesto in abbondanza: crearono anche qui un sistema produttivo raffinato, consolidando le basi della viticoltura e della vinificazione.
Nel medioevo con gli ordini monastici, si recuperarono antiche tradizioni combinate a nuove tecniche e nuovi sistemi di allevamento dalla Francia.
Ritrovamenti di vinaccioli di Vitis linifera silvestri Gmer sulle rive del Lago di Garda e Lago d’Iseo.
Territorio ampio, e regione vinicola del nord tra le più rilevanti: dalle Alpi alla Pianura Padana scendendo l’Appennino, grandi Laghi, e dolci colline, fasce climatiche differenti, suoli molto variegati e microclimi ideali da creare le condizioni ottimali per produzioni eccellenti come Franciacorta; continuando poi per il lago d’Iseo, il Garda, la Valtellina e l’ancora nascosto Oltrepò Pavese, orgoglio riscoperto della viticoltura Lombarda, che dalla pianura fino al fiume Po si fonde con l’Appennino settentrionale creando un’isola felice dalle caratteristiche microclimatiche favorevoli ospitando il vitigno internazionale emblema dell’eleganza: il Pinot Nero.
Sorprendente biodiversità e vitigni autoctoni cosiddetti “minori” ritrovati e fonte di ispirazione per la ricerca di quelli più resistenti ai cambiamenti climatici futuri e resilienti del nostro territorio, come l’Erbamat in Franciacorta o Mornasca in Oltrepo’.
Terra di vitigni rustici ed indigeni come Croatina, o eleganti e decisi come Chiavennasca (Nebbiolo valtellinese), oppure Barbera e Trebbiano di Lugana, tutti parte di un mosaico di specie in lenta riscoperta.
Fragranti, Croccanti e Inaspettati
Poli produttivi della regione sono le rinomate zone di Franciacorta e Oltrepò Pavese: quest’ultimo vanta di un bacino ampio con vini rossi di base Croatina e Barbera, molto strutturati, oltre che di metodo classico a base Pinot nero; mentre la prima zona citata ha portato questa regione alla ribalta internazionale per la produzione di spumanti metodo classico creandone un’identità specifica di altissima qualità.
L’anfiteatro naturale della Franciacorta ha facilitato l’eccellenza di questi vini: i suoli di origine morenica, le vicine pianure che regalano le giuste brezze per mantenere asciutte le uve, la vicinanza del lago d’Iseo che mitiga il clima, i monti della Valcamonica che assicurano una pressoché continua ventilazione e un regolare apporto idrico: insomma elementi fondamentali che grazie al lavoro superbo dei produttori hanno reso questa zona di produzione unica.
Qui i vitigni padroni sono internazionali, per la produzione di spumante metodo classico, ma di recente nel disciplinare è stato inserito l’Erbamat, protagonista del ritorno della viticoltura sul Lago di Como; questo vitigno è stato recuperato con l’obiettivo di diversificare il prodotto e dare maggiore identità a questa zona di eccellenza, grazie anche alla sua capacità di adattamento al territorio ed al clima in virtù del suo stretto legame con esso, mitigando cosi gli effetti del cambiamento climatico che sui vitigni precoci come Chardonnay e Pinot nero ha effetti devastanti.
Questo vitigno ha un profilo aromatico neutro ed una buona acidità, fondamentale nella produzione di bollicine, rafforza il legame vino-territorio differenziando e bilanciando le anticipazioni vendemmiali degli ultimi anni, poiché oltretutto è un’uva tardiva a lenta maturazione.
Offre poi grandi freschezze e croccantezze alle basi spumante grazie alla sua naturale acidità: la sua presenza è limitata al 10% per il momento, sia perché non si vuole incidere troppo sul profilo sensoriale dei vini prodotti in Franciacorta sia perché è ancora una sperimentazione aperta che però vede già grandi aziende coinvolte.
Il paesaggio incredibile dell’Oltrepò, a sud di Pavia, ha valli intervallate da un’interessantissima diversità di colture e vegetazione e regala una marea di vitigni coltivati che nel passato arrivavano anche oltre le 200 varietà: tra autoctoni ed internazionali, fermi, frizzanti bianchi e rossi.
Oltre al grande Pinot nero, gli autoctoni come Barbera, Croatina (base per la tradizionale Bonarda in aggiunta a piccole dosi) anche Uva Rara, Vespolina, dai colori porpora, rustico e spesso dai profumi di sottobosco, mora, lampone e liquirizia.
Autoctono a bacca rossa di questa zona, quasi estinto, la Mornasca, che dopo varie sperimentazioni e reimpianto, si è scoperto un vitigno tardivo con potenziale, versatile, strutturato e naturalmente speziato, ma le produzioni sono ancora estremamente limitate e legate alla ricerca e riscoperta lenta.
Moscato e Malvasia tra i bianchi dell’Oltrepò da citare, ma soprattutto il primo tocca picchi di assoluta rarità qualitativa nella zona di Scanzo, in provincia di Bergamo, con una piccola produzione da 31 ettari, che lo rende impossibile da divulgare al di fuori del territorio stesso. Un passito unico che raggiunge aromi di erbe mediterranee quali salvia e timo, spezie, fiori di rosa, e frutti come ciliegie e cassis, sempre fragrante e fresco.
Forse più per appassionati e “nerd” del vino è la zona della Valtellina, territorio rispetto alle precedenti, piccolo, impervio, eroico, nel quale fa da padrone il Nebbiolo, che ha trovato il suo habitat dando alla luce splendidi risultati di estrema eleganza.
Terra aspra e circondata da vette alpine, con una grande biodiversità, ed in assoluto l’area terrazzata più interessante d’Italia.
Non solo Chiavennasca (nebbiolo) ma anche vitigni come Rossola, Pignola e Prugnola, tra questi la Pignola Nera affine al Pignolo Spanna coltivato in provincia di Vercelli. Quest’ultimo, sebbene sia sempre stato da supporto alla Chiavennasca, è stato apprezzato anche “da solo” da alcuni produttori, con maturazioni tardive e grandi acidità, tanto da venire utilizzato per la produzione di spumante Blanc de Noir valtellinese metodo classico, 100% Pignola.
Lo Sforzato di Valtellina, orgoglio ed eccellenza di quest’area, è il primo passito rosso secco che ottiene la DOCG nel 2003: le uve dopo aver fatto un periodo di appassimento in fruttai per tre mesi, vengono pigiate e viene preparato il mosto del futuro vino che farà un invecchiamento di 20 mesi con affinamento in legno.
Qui il nebbiolo mantiene la sua eleganza e regala fragranze mature di mora, ciliegia sotto spirito e prugna secca, molto vellutato, una struttura tostata ed un corpo di cioccolato balsamico incomparabile.
Al di là delle stelle
Al primo posto nella classifica delle regioni con più stelle Michelin, la Lombardia vanta 59 ristoranti con questa nota “medaglia”: 3 con tre stelle, 5 con due stelle e le restanti con una stella.
La cultura gastronomica di questa regione, che parte dal passato per appartenere sempre e continuamente al presente, offre prodotti e ricette che la celebrano nel mondo.
Il capolista indiscusso è il risotto allo zafferano, chiamato anche risotto alla Milanese, simbolo della borghesia meneghina, con il suo colore giallo oro, la sua indiscussa cremosità, tradizionalmente accompagnato dal midollo di bue.
Il riso viene coltivato nella zona di Vercelli in pianura, tradizionalmente chiamato carnaroli, tipologia di riso che mantiene la consistenza sempre al dente. Facilmente abbinabile a un Franciacorta oppure a vini fermi un po’ più aromatici.
Dal centro di Milano ci spostiamo in montagna, dove si sviluppano ricette più sostanziose che reggono i lunghi e freddi inverni, come i pizzoccheri, tipologia di pasta a base di grano saraceno condita con formaggi e cavolo verza. Il tipico abbinamento territoriale offre il Nebbiolo della Valtellina, elegante e che sgrassa, oppure, se si predilige qualcosa di più strutturato e succoso, la Barbera dell’Oltrepò che accompagna questo piatto in maniera ottimale.
Sui secondo piatti in testa ci sono: cassoeula e cotoletta alla milanese.
Il primo è davvero sostanzioso: un piatto povero della tradizione fatto con tagli di maiale cotti insieme alla verza: un tripudio di piedini, costine, cotenne, testa e salamini (detti anche verzini) con aggiunta di verza.
Sapore sincero, è un piatto imponente, il quale termine pare derivi da cassoeu che significa cucchiaio con il quale originariamente si girava questa pietanza durante la preparazione. Vini rossi robusti e rustici che tengano testa alla corposità del piatto, come la croatina, oppure una bolla sgrassante di tutto rispetto.
Il secondo citato è, oltre che parte della tradizione lombarda, forse il più famoso ed apprezzato in Italia e fuori, preparata con il vitello con osso e con uno spessore non inferiore a 2cm. Il vero segreto è non far staccare l’impanatura dalla cotoletta (si ottiene senza aggiungere sale nell’uso e nel pane), e la cottura va rigorosamente fatta nel burro chiarificato, sempre accompagnata con patate al forno ma senza né succo né salse strane.
Ossobuco alla milanese, polenta ed anche i casoncelli degni di citazione assoluta della tradizione, questi ultimi tipici bergamaschi: pasta fresca all’uovo ripiena di carne di maiale, vitello, bietole e formaggio, conditi con burro e salvia e parmigiano grattugiato. L’uso del burro in questa zona d’Italia è più che tipico per via della posizione geografica maggiormente legata alle tradizioni nordiche che all’utilizzo di olio come invece accade nel sud Italia.
Tutti piatti ricchi, corposi, e strutturati per reggere i freddi inverni della regione.
Il dolce invece tipico è il panettone milanese, il re dei lievitati, una vera e propria istituzione della pasticceria milanese e fonte di ispirazione per i grandi chef che lo propongono in versioni personalizzate.
La preparazione è lunga ed impegnativa, e si differenzia dal pandoro per la presenza di uvetta secca e canditi; tripudio di sapori se abbinato al Moscato di Scanzo.
Secoli di denominazioni diverse, dopo i romani, gli austriaci, poi spagnoli e francesi, emergono in varie caratteristiche nei piatti locali, mescolando le diverse esperienze culinarie e regalando piatti tipici del clima freddo invernale che oggi creano nuove tendenze.
Una gastronomia eterogenea che racconta il territorio, la storia ed il clima in ogni piatto tipico.