Dai, lo sappiamo: la prima impressione, in ogni campo della vita, è quella che conta. L’aspetto esteriore delle cose, o delle persone, ci mette inconsciamente in condizione di crearci aspettative – nel bene e nel male – sull’essenza di ciò che stiamo osservando. Quando acquistiamo una bottiglia di vino la prima cosa che ci colpisce è certamente l’etichetta, dato che la quasi totalità dei vini in vendita si presentano in bottiglie di forma pressoché identica. La maggioranza dei vini fermi – bianchi e rossi – sono commercializzati in bottiglie di forma cosiddetta “bordolese”, laddove gli spumanti sono imbottigliati nella “champagnotta”.
Degna di nota, sicuramente, anche la forma “borgognotta”, tipica della produzione dell’omonima regione francese, ma ormai largamente utilizzata in tutto il mondo (e si, spesso il suo utilizzo è finalizzato a elevare l’impressione di qualità proprio perché intrinsecamente rimanda alla Borgogna…).
Sono diverse le denominazioni di origine, soprattutto in Europa, che prescrivano l’imbottigliamento dei vini in una particolare tipologia di bottiglia, pena il divieto di commercializzare quel vino con la denominazione stessa.
Ecco così che nelle Langhe troviamo l’Albeisa, con il caratteristico nome in rilievo sulla spalla della bottiglia, forma nata intorno al 1700 per identificare un territorio e oggi adottata da moltissimi produttori, benché non obbligatoria, produttori che nel 1973 si riuniscono in associazione per legare fortemente il contenitore al contenuto.
Saltando la neutrale Svizzera, entriamo in contemporaneamente in territorio francese e tedesco trovando rispettivamente la bottiglia Alsaziana e Renana, molto simili con la spalla quasi inesistente e il collo slanciato verso l’alto.
Tornando in patria e volando fino nelle Marche, ecco un’icona riconosciuta ormai in tutto il mondo, la bottiglia verde smeraldo di forma ispirata alle anfore degli antichi etruschi, divenuta simbolo del verdicchio di Matelica. Creata nel 1953 per volontà dell’azienda Fazi Battaglia, oggigiorno è stata ampiamente sostituita dalle classiche bordolesi a causa di uno screditamento della sua forma, divenuta non più attuale ma, soprattutto, legata involontariamente a pratiche enologiche a dir poco sfortunate, che hanno temporaneamente relegato il magnifico Verdicchio a giocatore di secondo piano e, di conseguenza, anche la sua bottiglia più rappresentativa.
Rientrando ancora una volta nelle italiche terre di spumanti, in Franciacorta troviamo un’altra bellissima bottiglia: Ferghettina utilizza bottiglie che, partendo dal collo tondo, diventa man mano sempre più dritta fino a diventare quadrata sul fondo, fornendo ai lieviti una maggior superficie su cui adagiarsi durante il riposo in cantina per la presa di spuma.
Esistono poi alcuni formati di bottiglie divenuti iconici, grazie al loro design unico, sia esso antico o più moderno.
Correva – presumibilmente – il secolo XIV nelle terre del Chianti quando l’arte vetraria della zona era ormai divenuta una certezza e nacquero i primi fiaschi di vetro utilizzati per imbottigliare il vino locale. Il fiasco, chiaramente soffiato a mano, era però eccessivamente delicato ed esposto a facili rotture, per cui si iniziò a rivestirlo con un’erba molto diffusa negli acquitrini che all’epoca abbondavano nella zona, così da proteggerlo dagli urti nonché dai raggi solari. Nacque persino una professione legata all’impagliatura dei fiaschi, la fiascaia.
L’industrializzazione e il boom economico di inizio secolo scorso hanno segnato però un costante e inesorabile declino del fiasco, a favore della più economica – nonché più agilmente trasportabile bottiglia bordolese, anche se diversi produttori di Chianti hanno, negli ultimi anni, ripreso a commercializzare Chianti e Chianti Classico nel suo antico contenitore, così da valorizzarne il valore storico.
A pochi anni di distanza dalla creazione dell’anfora del Verdicchio di Matelica è comparsa sul mercato un’altra bottiglia, questa destinata a riscuotere un successo forse più eclatante per il fatto di essere legata ad un singolo produttore – e talmente unica nella sua forma da non essere replicabile se non infrangendone il brevetto: nel 1958 Giancarlo Travaglini, in quel di Gattinara, ha il lampo di genio di voler rompere gli schemi disegnando una bottiglia tanto bella quanto funzionale. La sua forma sinuosa, che ricorda una scultura in marmo – specialmente nella versione satinata – permette di versare direttamente il vino nel bicchiere trattenendo eventuali sedimenti che possano essersi depositati naturalmente sul fondo.
Che dire poi del celebre Cristal di Louis Roederer? Il ricercato vino di punta – prestige cuvée – fu creato dalla maison francese su esplicita richiesta dello Zar Alessandro II nel 1876 che, oltre a richiedere la massima qualità possibile, dettò alcune specifiche per la bottiglia, come il fondo piatto (per scongiurare il rischio che piccole bombe fossero nascoste nel tipico incavo) e il colore trasparente al posto del vetro scuro (per poter scorgere eventuali aggiunte di veleno). Lo Zar, a quanto pare, era parecchio paranoico circa la propria incolumità, ma chi non lo sarebbe sapendo che ben metà dei suoi successori furono assassinati?
Esistono molti altri esempi di produttori che hanno, nel tempo, introdotto sul mercato bottiglie dalle forme innovative o comunque differenti dalle altre, a volte con successo, altre meno. Ma, a prescindere dal risultato, questo ci dimostra come la bottiglia, qualcosa che spesso diamo per scontato attribuendole poco valore, abbia invece un ruolo molto importante, sia commerciale che tecnico e, spesso, storico.
Roberto Lo Russo
Formazione Sommelier Degustibuss Milano