Fate attenzione prima di leggere questo articolo: contiene solfiti!
State tranquilli… ovviamente non vi succederà niente, così come non vi succede nulla quando bevete un bicchiere di vino. Ci capita ancora di sentire frasi del tipo “No, per me niente vino stasera altrimenti sai che mal di testa domani mattina!”, perché? Cerchiamo di fare luce sull’argomento, per quanto ci è possibile , in modo che tutti possano bere sereni.
Cos’è l’anidride solforosa?
L’anidride solforosa (SO2 ) è un gas incolore dall’odore empireumatico conosciuta anche come diossido di zolfo, che – forse vi meraviglierà sapere – è un composto naturale prodotto anche dal nostro organismo, ad esempio durante il metabolismo. L’anidride solforosa, infatti, è considerata dal FDA (Food & Drugs Administration) come GRAS (Generally Recognized as Safe) ovvero un principio attivo ritenuto generalmente sicuro.
Nel vino i solfiti vengono aggiunti principalmente attraverso l’anidride solforosa addizionata in forma di SO2 gassosa o metabisolfito di potassio. Può essere aggiunta in diverse fasi del processo di vinificazione (e i nostri corsisti dovrebbero saperlo bene!) per evitare contaminazioni microbiologiche indesiderate. Durante la fermentazione alcolica, ad esempio, i lieviti anaerobi Saccharomyces cerevisiae entrano in competizione con altre specie più spesso aerobie che producono acido acetico. Se prodotto in quantità elevate l’acido acetico potrebbe compromettere l’intera riuscita del vino (il classico vino che sa di aceto!). Oltre alla fermentazione ci sono altri momenti del ciclo produttivo nei quali può avvenire una contaminazione indesiderata: pensiamo all’affinamento in botti o alla conservazione in bottiglie.
Quindi per evitare di perder tempo e risorse, l’industria del vino si avvale dell’utilizzo di un conservante, che svolge anche un importante ruolo antiossidante, antibiotico e antisettico, utile ad interrompere l’attività biologica dei microrganismi indesiderati in tutte le fasi: l’anidride solforosa.
Normativa italiana sui solfiti
Innanzitutto bisogna sapere che i solfiti sono sempre presenti nel vino, poiché sono prodotti dall’uva stessa durante la prima fermentazione. Questi sono detti “solfiti naturali” e non superano i 10 mg/l. I solfiti aggiunti invece sono quelli a cui fa riferimento la dicitura che troviamo in etichetta “contiene solfiti” ed è obbligatorio riportarli (sopra i 10mg/l) in quanto fanno parte della lista degli allergeni alimentari. Per quanto riguarda i limiti massimi (solforosa totale) invece la legge prevede 200 mg/l per i vini bianchi e rosati e di 150 mg/l per i vini rossi. I livelli si abbassano leggermente per la normativa biologica indicando 150 mg/l per vini bianchi e rosati e 100 mg/l per i rossi. Esistono dunque vini “senza solfiti”? No. Quello che possiamo trovare in alcuni casi sono i vini senza solfiti aggiunti, contrassegnati da un bollino verde con SO2 sbarrato .
Tra l’altro i solfiti non sono utilizzati solo nel settore enologico, ma in tutta l’industria alimentare: vengono infatti adoperati per la conservazione di insaccati, frutta secca, prodotti ortofrutticoli in busta o in barattolo, prodotti da forno. Però nessuno ha mal di testa dopo un panino al prosciutto! Qual è la differenza allora?
Miti e verità della dicitura “contiene solfiti”
I solfiti non possono essere utilizzati per alimenti crudi, dove sarebbero inalati direttamente. Il biossido di zolfo, o anidride solforosa, è un gas dall’odore acre e pungente che potrebbe causare reazioni fortemente irritanti e pericolose, ma i solfiti una volta aggiunti al prodotto alimentare o al vino tendono a combinarsi irreversibilmente con alcuni suoi componenti, divenendo in gran parte inattivi, quindi non soggetti a evaporazione e dunque a inalazione.
Non esiste inoltre una vera e propria allergia da solfiti, quello che può verificarsi in alcuni soggetti è un’intolleranza o sensibilità che scatena sintomi pseudoallergici. I soggetti sensibili possono presentare crisi asmatiche, orticaria, nausea, vomito, sudorazione intensa, vampate di calore e ipotensione. I sintomi si manifestano generalmente entro 15-30 minuti dall’ingestione (non il giorno dopo!). Si stima che i solfiti causino problemi a circa lo 0,05-1% della popolazione, con un rischio che sale al 5% per gli individui asmatici .
Esiste quindi realmente una correlazione tra solfiti contenuti nel vino e mal di testa? Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino il coinvolgimento dei solfiti nell’insorgenza di cefalea o emicrania. Questo significa che il mal di testa indotto dal vino è verosimilmente scatenato dal consumo alcolico e forse da un’ipersensibilità individuale. L’alcol infatti assunto in eccesso (rispetto alla capacità di “smaltirlo”), può avere effetti diretti sul sistema nervoso, essendo l’etanolo un composto nervino .
I solfiti sono quindi tollerati dall’organismo umano, fatta eccezione per i casi visti. Il quantitativo di solfiti in grado di nuocere alla salute di un organismo sano è pari a 1500 mg/kg di peso corporeo, che – visto il quantitativo limite massimo – corrisponderebbe a 7 bottiglie e mezzo di bianco e dieci di rosso! Direi che sotto queste quantità potete bere tranquilli.
Relatore per Degustibuss regione Campania, in possesso del secondo livello WSET, Sommelier AIS. Laureata in Culture digitali e della Comunicazione nell’Università Federico II di Napoli, ha fatto della sua passione un lavoro unendo gli studi all’amore per la sua terra e per il vino. Si occupa di comunicazione digitale nel settore enogastronomico. Ha collaborato con diverse associazioni, cantine e locali sul territorio per la realizzazione di eventi e degustazioni con l’obiettivo di promuovere i vitigni e i vini campani.