Pantelleria, la “Perla Nera” del mediterraneo, è una piccola isola di 84 km2 sospesa tra la Sicilia e la Tunisia. La sua origine è vulcanica ed è per questo ricca di sabbie nere, acque calde e termali. Il clima è quasi africano se non fosse per i venti provenienti dal mare che soffiano tutto l’anno e mitigano il caldo. Il suo nome antico, datole dai romani, è Cossyra, ma il suo nome attuale deriva dall’arabo Bent-el-Rhia ossia “Figlia del Vento” .
Pantelleria è un’isola molto particolare abitata e colonizzata nei secoli prima dai fenici, poi dagli arabi e anche dai romani. Ognuno di loro ha lasciato delle tracce evidenti nella sua storia riscontrabili nelle cose caratteristiche dell’isola: le tipiche abitazioni dette ‘dammusi’ costruite con muri di pietra lavica e tetti a cupola; i giardini panteschi sono un altro esempio di architettura dell’isola, muri circolari di pietra lavica costruiti intorno agli alberi per proteggerli dal vento; infine la vite ad alberello che viene considerata una pratica agricola da salvaguardare, promuovere e studiare, come facciamo durante i corsi di sommelier Degustibuss. Anche le vigne sono protette da muretti a secco in pietra lavica, costruiti con pietre grezze incastrate tra loro senza alcun tipo di malta.
Ricca di miti e di leggende, Pantelleria è da sempre associata al vino: si narra infatti che la dea Tanit travestitasi da coppiera degli dei sostituì il loro nettare con il moscato pantesco riuscendo così a sedurre il dio Apollo del quale si era invaghita. Andiamo quindi a vedere da dove si origina questo prezioso vino.
L’Alberello di Pantelleria
L’isola di Pantelleria è caratterizzata da una costante ventosità, da una scarsa piovosità compensata però da una grande umidità. I suoi terreni sono impervi, sabbiosi di tipo vulcanico, ricchissimi di minerali e silicati, con presenza di argilla e humus prodotti dal disgregamento della lava substratica. Il profilo dell’isola è costeggiato da terrazzamenti sorretti dai tradizionali muretti a secco che delineano il paesaggio di Pantelleria e lo difendono dall’erosione.
È questo il contesto in cui nasce la pratica colturale dell’alberello pantesco, un particolare modo di allevare lo zibibbo, vitigno caratteristico dell’isola, in cui la pianta cresce senza sostegno (nessun palo di legno), vicina al terreno, in una ‘culla’ , una buca di circa 20 cm scavata nel terreno per accogliere la vite e proteggerla dal vento, ma allo stesso tempo raccogliere la giusta umidità durante la notte e carpire le scarse risorse idriche presenti. Questo sistema di allevamento fa sviluppare la pianta con un andamento orizzontale e quasi parallelo al terreno, rendendola in grado di sopravvivere al vento costante che soffia sull’isola. La sua coltivazione è interamente manuale così come la vendemmia: se infatti per una viticoltura tradizionale si impiegano circa 150 ore per ettaro, è stimato che a Pantelleria ne occorrano circa 1400! Sono soltanto trenta ad oggi i coltivatori della “vite ad alberello” una pratica autoctona dell’isola sviluppata dai Fenici circa 2500 anni fa e tramandata oralmente nel dialetto tipico pantesco.
Una pratica così speciale che nel 2014 è stata dichiarata patrimonio immateriale dell’umanità dell’UNESCO approvato all’unanimità dagli stati membri (la prima pratica agricola al mondo ad ottenere questo prestigioso riconoscimento). Il prof. Pier Luigi Petrillo che ha promosso la candidatura e che in precedenza aveva coordinato con successo le candidature all’UNESCO delle Dolomiti, della Dieta Mediterranea e dei paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e Monferrato, la definisce una pratica da “salvaguardare, promuovere e studiare”.
L’uva di Pantelleria: lo zibibbo
I due vini celebri dell’isola, il Moscato e il Passito di Pantelleria, provengono dal vitigno Zibibbo, uva introdotta nell’isola dagli arabi. Sembra infatti provenisse dai commerci con il porto di Capo Zebib di fronte Pantelleria sulle coste della Tunisia. L’etimologia della parola Zibibbo inoltre in arabo significa “uva passa” (zabīb) proprio perché prima di produrre vino veniva facilmente essiccata al sole. Lo zibibbo è anche noto come ‘moscato di Alessandria’ perché si crede sia originario del delta del Nilo o Muscat Romain, grazie alla sua distribuzione nel Mediterraneo da parte dei Romani.
Lo zibibbo è appartenente alla famiglia aromatica dei moscati come il cugino Muscat Blanc a Petit Grains o il moscato bianco di Noto. Come abbiamo visto è consuetudine allevarlo ad alberello. Il vitigno si caratterizza per avere grappoli medi alati con una tipica forma cilindrica e ben compatta.
L’uva Zibibbo ha acini rotondeggianti di medie dimensioni e una polpa succosa ma soda, hanno una colorazione che varia dalle tonalità di verde fino al giallo oro a maturazione completa. Le viti sono molto forti e difficilmente vengono interessate da attacchi parassitari oppure da malattie particolarmente. I grappoli germogliano relativamente presto, ma raggiungono piena maturazione tardi verso la seconda o terza decade di settembre in alcuni casi anche ottobre. L’uva Zibibbo è usata sia per la vinificazione sia per l’essiccazione, per questo a seconda del vino che se ne produce ci sono 3 momenti di vendemmia: agosto, settembre, ottobre . L’uva può anche essere mangiata e il suo profilo organolettico è ben definito e riconoscibile al gusto e lo si ritrova anche nei vini.
Lo zibibbo è l’unica uva con cui si possono produrre i vini “Pantelleria” DOC, che comprende le uve prodotte nell’intero territorio dell’isola. Diventata DOC nel 1971, la denominazione include:
– Moscato di Pantelleria;
– Passito di Pantelleria;
– Pantelleria-Moscato spumante;
– Pantelleria-Moscato dorato;
– Pantelleria-Moscato liquoroso;
– Pantelleria- Passito liquoroso;
– Pantelleria-Zibibbo dolce;
– Pantelleria- Bianco, anche Frizzante.
Approfondiamo i due vini più apprezzati e conosciuti dell’isola: il moscato e il passito di Pantelleria.
Moscato di Pantelleria
Il moscato di Pantelleria DOC è un vino prodotto, per disciplinare, da sole uve zibibbo fresche(non passite!) prodotte nell’isola di Pantelleria, in provincia di Trapani. Come tutti i moscati ha gli aromi tipici di moscato , dovuti principalmente ad alcuni terpeni come il linalolo molto presente in questo tipo di uva. Il vino appare di color giallo intenso con leggere sfumature dorate, al palato risulta dolce ed aromatico. È ottimo abbinato sia al dolce (dolci da forno, paste di mandorla, cannoli siciliani, cassate), che al salato (dai formaggi erborinati alla ricotta). Da assaggiare sono il Moscato di Pantelleria Pellegrino e il Kabir di Donnafugata.
Passito di Pantelleria
Il Passito di Pantelleria DOC deve provenire da mosti di uve, almeno in parte, sottoposte ad appassimento o sulla pianta o dopo la raccolta. Non solo le uve devono essere prodotte a Pantelleria, ma sull’isola devono anche essere svolte tutte le operazioni di vinificazione, compreso l’appassimento delle uve. Infine, anche l’imbottigliamento deve avvenire all’interno della zona di vinificazione. Il metodo “passito” prevede una raccolta ad agosto per procedere poi all’essiccazione al sole delle uve sugli stinnituri (stuoie di paglia), prima del processo di fermentazione, al fine di concentrare i loro zuccheri. Secondo il disciplinare di produzione, la resa delle uve in vino non deve superare il 40%, per una produzione complessiva di 40 ettolitri per ettaro. Le uve – parzialmente essiccate, ma sane (non affette da muffe)- vengono poi pigiate e messe a riposare per alcuni mesi, solitamente in contenitori di acciaio inox. Il Passito di Pantelleria, da disciplinare, non può essere immesso al consumo prima del 1° luglio dell’anno successivo alla raccolta delle uve. L’affinamento dura complessivamente non meno di diciotto mesi di cui almeno sei in bottiglia.
Il vino avrà un colore giallo dorato, con riflessi ambrati a seconda dell’annata. Il profumo è fruttato ed intenso, con sentori di fichi secchi e frutta matura e/o in confettura, frutta secca come uva passa, datteri, nocciole o mandorle tostate, arancia candita, spezie dolci e miele. Il sapore è piacevolmente dolce, gradevole, mediamente alcolico ed aromatico. Per capirlo e apprezzarlo fino in fondo potete solo assaggiarne uno, magari un bel bicchiere di Ben Ryè di Donnafugata.

Stefania Zona
Relatore per Degustibuss regione Campania, in possesso del secondo livello WSET, Sommelier AIS. Laureata in Culture digitali e della Comunicazione nell’Università Federico II di Napoli, ha fatto della sua passione un lavoro unendo gli studi all’amore per la sua terra e per il vino. Si occupa di comunicazione digitale nel settore enogastronomico. Ha collaborato con diverse associazioni, cantine e locali sul territorio per la realizzazione di eventi e degustazioni con l’obiettivo di promuovere i vitigni e i vini campani.